Milano, chiude il McDonald’s di San Babila: «Qui nacque la moda dei paninari»
Il 6 dicembre chiudono definitivamente le vetrine che negli anni Ottanta sono state il simbolo di un’intera generazione
Un luogo storico di Milano che se ne va, portando con sé le memorie di un’epoca come gli anni Ottanta che forse più di altre segna ancora oggi l’identità della città. La sede di McDonald’s in piazza San Babila, complice la pandemia, chiuderà i battenti. Stavolta, diversamente dal 2015, in modo definitivo. Motivo: contratto di affitto in scadenza e costi per il rinnovo troppo alti, con la proprietà dell’immobile che avrebbe persino prospettato un aumento del canone.
Quando chiude il McDonald’s in San Babila
La chiusura è prevista per il 6 dicembre. I 35 lavoratori del punto vendita all’angolo tra corso Europa e largo Toscanini non perderanno il posto: assicurano infatti i sindacati che ogni operatore e dirigente ha scelto dove ricollocarsi, perlopiù tra piazza Duomo e Galleria Ciro Fontana. Quel che invece un po’ si rischia di perdere è altro. Piaccia o non piaccia il modello fast food, nelle vetrine di San Babila si è riflettuto per quarant’anni lo scorrere di un pezzo di storia della città. Ora si spengono le luci su un’icona che ha rivoluzionato il costume e le abitudini alimentari dei milanesi, facendosi tutt’uno con i dettami della moda e delle culture giovanili degli anni Ottanta.
Un angolo d’America a Milano
I paninari sono stati per un decennio gli indiscussi protagonisti di questo angolo d’America dove nel 1981 aprì il primo Burghy d’Italia. In quel periodo, tra la «Milano da bere», lo scarsissimo interesse dei giovani per la politica e i riflettori puntati sull’America, frontiera di un nuovo mondo di concepire i consumi, dire paninaro voleva dire fast food: un concetto del tutto nuovo nel mondo del cibo all’italiana, una novità che si legò a doppio filo, appunto, con la voglia di disimpegno incarnata dai paninari. Basta con la violenza, basta con l’ideologia politica, specie in una città che nel decennio precedente era stata divisa in aree d’influenza, i ragazzi di destra in San Babila e quelli di sinistra in piazza Santo Stefano. Così, quando la catena italiana Burghy sbarcò nel centro di Milano, i paninari fissarono lì uno dei loro punti d’incontro preferiti.
La moda dei paninari
Italianissimo ma americano, pure sotto le guglie del Duomo, Burghy in San Babila è stato a lungo parte dello status del paninaro. Che arrivò addirittura sul piccolo schermo, al «Drive In», programma simbolo della tv berlusconiana dell’epoca. Scarpe Timberland, piumini Moncler ma anche giacche stile montone e cappotti over-size, accessori Naj-Oleari e zaino Invicta, intramontabili Levi’s retti da cintura El Charro: era questa l’uniforme degli yuppies in salsa nostrana. «Piuttosto costosa come divisa», osserva Isabella Toniolo, oggi sindacalista della Filcams-Cgil, allora dipendente Burghy, che non dimentica la «Milano da bere» radunata lì intorno. La stessa città che «veniva da noi a mangiare, non solo perché era di moda ma anche perché i prezzi erano più che abbordabili».
Una scommessa vincente
Tutti sceglievano il pane al sesamo di Burghy, ricorda ancora Toniolo: «E pure i personaggi della tv e di Drive In passavano da lì». «Quando Burghy aprì — riavvolge ancora il filo dei ricordi — molti scommettevano sul suo fallimento. Che ci facciamo noi italiani con gli hamburger? Invece fu una scommessa vincente». Il panino più richiesto? «Il Big Burghy ovviamente: doppia porzione di carne bovina 100 per cento, gustoso formaggio, cipolle e lattuga. Buonissimo. Quando abbiamo servito l’ultimo ho pensato: andrebbe conservato in una teca, anzi in una capsula per il futuro»
Fonte:Ilcorriere.it
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