E se il Fuorisalone ridisegnasse davvero lo spazio pubblico di Milano?
Panchine, paletti, segnaletica, edicole, bancarelle, totem, semafori, lampioni. Milano è in straordinario ritardo sul design dell’arredo urbano e dello spazio pubblico rispetto alle altre città europee
Grazie al progetto “The Tokyo Toilet” – uno dei tantissimi di questo Salone e Fuorisalone – la fermata Duomo della metropolitana di Milano avrà dei bagni pubblici nuovi, ben progettati, manutenuti. Un’operazione dietro la quale c’è il brand di abbigliamento giapponese Uniqlo.
La Design Week è una manna economica della città, ma il quoziente di operazioni effimere che Milano ospita è pressoché totale. Aree pedonali, nuovi spazi verdi, panchine, aiuole, allestimenti, facciate. Tutto viene montato e poi, nel breve volgere di una settimana, smontato. Nulla è pensato per restare e diffondere benefici anche dopo. La piccola vicenda delle toilette pubbliche, che rimarranno e continueranno ad erogare il loro servizio anche dopo la fine del Salone, ci dice però che qualcosa di più strutturale, stabile e fisso è assolutamente possibile.
Grandi manifestazioni come Expo 2015 hanno dimostrato che il vero valore non sta tanto nel grande evento in se – che pure è importante, beninteso – bensì nel suo lascito e nell’eredità civica che se ne può ricavare. E allora perché non provare a porselo come obiettivo addirittura amministrativo, culturale e istituzionale? Ogni anno farsi la domanda: cosa lascerà di fisso questo Salone? A quale azienda possiamo chiedere di investire non solo su mirabolanti scenografie che scadono dopo 7 giorni, ma anche in qualcosa che rimanga a lungo con mutuo beneficio della città e dell’immagine azienda stessa?
La città del design non è pensata con l’approccio del design
Con uno spirito simile tra l’altro si potrebbe sanare un paradosso. Quale? Quello che vede Milano come capitale globale del design e ciononostante dotata di un arredo urbano largamente deludente, approssimativo, non coordinato, non identitario, non riconoscibile. Non concepito in maniera organica. Quando parlo di arredo urbano mi riferisco ai mille elementi che troviamo comunemente in strada, nelle piazze, nei parchi pubblici. I chioschi delle edicole, le bancarelle degli ambulanti, le rastrelliere delle bici, i paletti dissuasori per non far salire le auto sui marciapiedi, la segnaletica turistica, la segnaletica stradale (fissa e temporanea), la cartellonistica pubblicitaria, le indicazioni temporanee di lavori in corso, i dehors dei ristoranti, le fontanelle, le panchine, i materiali adoperati nei cantieri, i totem, le cabine elettriche, i lampioni e appunto le toilette pubbliche. Tutto può essere straordinariamente migliorato in direzione del design.
Il ritardo di Milano sul design urbano
Mettendoci d’accordo su cosa sia davvero “design” però. Design non è proporre qualcosa necessariamente di nuovo, di strano, di diverso, di particolare e di bizzarro. In Italia si tende a definire qualcosa come “di design” quando ha quelle caratteristiche lì. Beh il design forse è esattamente il contrario, il design è quella scienza che si applica per risolvere un problema, per rendere più facile e intelligente un’azione. In questo senso si capisce quanto sia importante applicare un approccio design oriented (in senso funzionale e in senso estetico assieme) all’arredo urbano. Milano è in sbalorditivo ritardo da questo punto di vista rispetto alle altre città europee. Prendendo atto di questo ritardo oggettivo non dovrebbe peraltro puntare banalmente ad allinearsi a queste ma fungere da guida e da esempio. Essere di ispirazione dentro e fuori l’Italia.
Lo si può fare provando ad assegnare un tema a una (o a una sezione) delle prossime edizioni del Salone del Mobile. Lanciare la sfida ad aziende, progettisti, designer e architetti per la riprogettazione razionale dello spazio pubblico all’insegna del design autenticamente inteso che produca un ‘catalogo degli arredi’ il più avanzato possibile.
Come dite, occorrono ingenti investimenti per calare una progettualità di alto livello nello spazio pubblico? Verissimo. Ma servono investimenti altrettanto ingenti anche per riempire lo spazio pubblico di elementi incongruenti come spesso avviene oggi. Inoltre Milano, pur necessitando indubbiamente di investimenti su un progetto simile, ha in se stessa la capacità di convincere dozzine di aziende internazionali a partecipare alla spesa facendosene in parte carico. E poi non ci dimentichiamo che design significa anche risparmio: ottenere risultati ottimizzando le risorse e cancellando sprechi e superficialità. Con l’orizzonte ambizioso di restituire la più efficiente e innovativa città europea dal punto di vista del design dello spazio pubblico. Per evitare, in un futuro prossimo, che le affissioni “Milano è design” vengano veicolate tramite totem pubblicitari che di design hanno ben poco.
Fonte: Milanotoday
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