Attualità

La ricerca. Adolescenti a Milano: per fortuna ci sono gli oratori

Diffusi capillarmente, nella metropoli gli oratori sono 146. In alcuni quartieri, in particolare quelli più svantaggiati sul piano socio-economico, sono il solo riferimento aggregativo ed educativo

Mentre politici, amministratori pubblici e urbanisti guardano come modello e obiettivo alla “città dei 15 minuti” – dove i residenti possono svolgere le funzioni essenziali della vita urbana entro un quarto d’ora a piedi o in bici dalle loro abitazioni – i 146 oratori delle 168 parrocchie di Milano hanno già costruito la “città dei dieci minuti”. La loro distribuzione nei dodici decanati è infatti tanto fitta e capillare da risultare accessibili in 10 minuti di cammino (o anche meno) da tutti i punti del territorio urbano. Con alcune eccezioni: come Cascina Merlata o Figino, quartieri di nuovo sviluppo residenziale. «Ai quali, come Chiesa ambrosiana, guardiamo con attenzione per non lasciare scoperte aree abitate da persone e famiglie giovani e nuove, domandandoci però quale sia la forma più adatta di una presenza ecclesiale», spiega don Stefano Guidi, direttore della Fondazione oratori milanesi (Fom).

Il ritratto di questa “città dell’oratorio a dieci minuti” emerge dalla ricerca “Il posto degli oratori. Una mappa delle proposte educative e ricreative per adolescenti a Milano”, promossa dalla Fom e dalla Fondazione Ambrosianeum, coordinata dalle sociologhe dell’Università Cattolica Rosangela Lodigiani e Veronica Riniolo, che ha coinvolto docenti e ricercatori anche del Politecnico e dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.

«Da anni mancava una ricerca sugli oratori. Questa è nata nello scenario della riarticolazione dei decanati a Milano e della visita pastorale dell’arcivescovo Mario Delpini alla città. E in un tempo di uscita dalla emergenza Covid, anche per conoscere la situazione dei nostri adolescenti e capire come gli oratori anche nel pieno della pandemia hanno saputo mantenere relazioni significative con i nostri ragazzi – riprende don Guidi –. Dentro i cambiamenti affascinanti e frenetici di Milano, la Chiesa ambrosiana si interroga sui suoi oratori per continuare a offrirli, rinnovati, quale fattore costruttivo per l’intera città»

La ricerca – illustrata mercoledì 31 gennaio nella sede dell’Ambrosianeum, alla presenza di Anna Scavuzzo, vicesindaco di Milano e assessore all’Istruzione, e di Lara Magoni, sottosegretario con delega a Giovani e Sport della Regione Lombardia – conferma come gli oratori siano, in potenza e nella realtà, «sentinelle e custodi del territorio, laboratori di cittadinanza, di inclusione, di convivenza interetnica, sensori della comunità cristiana connessi con la città, dove formare buoni cristiani e onesti cittadini, per dirla con san Giovanni Bosco – scandisce don Giuseppe Como, presidente Fom e vicario episcopale per l’Educazione e la celebrazione della fede –. La sfida che ci chiama? Continuare a essere comunità accoglienti, a bassa soglia, aperte a tutti, ma capaci di una proposta cristiana seria, capaci di coniugare identità cristiana e apertura multiculturale».

La lettura socio-demografica di Milano – dove più di una persona su cinque è straniera e più della metà delle famiglie è composta da un’unica persona – e la mappatura dell’offerta educativa e ricreativa – pubblica e del privato, profit e non – rivolta a adolescenti e giovani fra gli 11 e i 19 anni, mostra come Milano abbia un’offerta variegata ma disomogenea. Alcune aree di nuovo sviluppo e alcuni quartieri, «perlopiù quelli maggiormente svantaggiati dal punto di vista socio-economico come Bovisasca, Gallaratese, Quarto Oggiaro, risultano più scoperti rispetto ad altri, con poche proposte rivolte ai giovani», ha messo in evidenza Riniolo. «Sono tuttavia gli oratori a garantire una copertura estesa e diffusa del territorio milanese, rappresentando, soprattutto in alcune aree della città, una delle principali dotazioni educative dei territori e un punto di riferimento e inclusione sociale». In alcuni casi risultano essere addirittura «l’unico spazio di aggregazione giovanile». Non sorprende, dunque, che in tre oratori su dieci, nei loro cortili (gli spazi per eccellenza della aggregazione libera e informale), a prevalere sia una presenza di adolescenti con background economico-culturale familiare basso o medio-basso.

Attenzione: la vicinanza all’oratorio non garantisce che chi vi è prossimo vi acceda. La sfida è essere aperti, attrattivi, inclusivi. E gli oratori milanesi, fra luci e ombre – che il tempo di pandemia ha approfondito – lo sono. Come? Lo dice la parte della ricerca dedicata alla proposta educativa e al “popolo” degli oratori. Qui emerge ad esempio come al crescere dell’età il numero di ragazzi in oratorio diminuisca, ma la loro presenza sia sempre più attiva e impegnata, orientata al servizio nel segno della gratitudine per quel che si è ricevuto nella comunità cristiana. Il “popolo degli oratori” è inoltre sempre più multiculturale e multietnico, e si verifica «un’apertura all’accoglienza e all’integrazione che nei fatti si realizza negli spazi aperti e nelle attività informali dell’oratorio, nelle attività educative e ricreative più strutturate e persino, anche se più raramente, nei percorsi di educazione alla fede, con soluzioni di inclusione anche molto diversificate tra loro. Soluzioni che riflettono la capacità ma anche la creatività di alcuni responsabili di oratorio, coadiutori, laici impegnati come catechisti o educatori, nel rendere inclusive le proposte», aggiunge Lodigiani.

La pandemia ha lasciato un segno profondo nella vita degli oratori e dei ragazzi. L’emergenza sanitaria ha spinto a sviluppare nuovi linguaggi e metodi, a lavorare su piccoli gruppi, a personalizzare di più l’approccio, anche a fronte di una crescita della richiesta di sostegno nella sfera personale – nell’accendersi e nell’incalzare delle domande sul senso della vita, della morte, della malattia, del dolore. Quasi due oratori su tre hanno dichiarato di essere riusciti a garantire la continuità delle proprie attività principali. e il 41% ha affermato che l’esperienza della pandemia Covid-19 ha contribuito a migliorare e rinnovare l’offerta pastorale, educativa e ricreativa.

Come ricomporre le tensioni fra l’apertura e l’accoglienza della diversità, l’essere realtà a “bassa soglia”, e la proposta di un’appartenenza che impegna e offre identità? Con la formula dell’“oratorio delle quattro C”, ha concluso Lodigiani: «comunità, convivialità, condivisione, co-protagonismo». Sono queste le coordinate di «un oratorio che annuncia il Vangelo entrando nella storia concreta dei ragazzi, offrendo la possibilità di incontrarlo nei volti delle persone, attraverso relazioni e spazi di incontro informale, non necessariamente strutturato, che valorizzi i giovani come primi annunciatori del Vangelo ad altri giovaniLa proposta cristiana dice e vive la sua identità proprio nell’essere aperta e inclusiva».

Fonte: Avvenire.it

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